Negli ultimi anni, la privacy online è diventata una questione politica e legale di primo piano. Normative come il GDPR in Europa o il CCPA in California hanno introdotto standard elevati per la protezione dei dati personali, imponendo obblighi chiari alle aziende e riconoscendo diritti concreti agli utenti.
Tuttavia, mentre la legge cerca di tutelare i cittadini, le grandi aziende tecnologiche e digitali stanno affinando le proprie strategie per aggirare, reinterpretare o influenzare queste normative. Ne emerge una battaglia in corso: un confronto tra sovranità democratica e potere economico, tra diritti individuali e modelli di business basati sulla profilazione.
Il problema: norme forti, applicazione debole
Nonostante la chiarezza delle leggi, le violazioni della privacy continuano. Perché?
Aziende come Meta, Google e Amazon basano la propria economia sulla profilazione degli utenti. Limitare l’accesso ai dati significa colpire direttamente il cuore del loro profitto.
Le interfacce utente sono spesso progettate per spingere l’utente ad accettare tutto. La richiesta di consenso è spesso manipolata. Per questo diverse aziende spostano legalmente la sede o frammentano i servizi per sfuggire a giurisdizioni più severe.
Non è inoltre un segreto che le big tech esercitano un enorme potere di lobbying nei confronti dei governi per influenzare la scrittura e l’applicazione delle leggi.